Apologia di Socrate

Socrate imbastisce la sua difesa con una stringente logica che finisce per imbrigliarlo sempre più. 
Gli ateniesi, i giudici, il pubblico accorso ad assistere a questo storico processo alla filosofia socratica – tra il pubblico era anche un allievo di Socrate, un certo Platone, che si prese poi la briga di tramandare a noi i fatti – decide per una condanna a morte. 
Socrate “lo si stima un po’ diverso dagli altri” dice egli di se stesso, Socrate è un uomo libero, pacato, logico e appassionato, meticoloso e pedante, saggio e impavido di fronte alla morte, una morte che non lo può spaventare perché lui almeno “sa di non sapere” cosa ci sia dopo. Se fosse un lungo sonno senza sogni sarebbe il sonno più ambito da qualunque re, se al contrario si potessero incontrare i morti dice che andrebbe subito a cercare i grandi poeti come Omero o Esiodo. 
Un uomo curioso verso la vita e verso la morte allo stesso modo. Un uomo di cui il mondo, il nostro mondo avrebbe bisogno ancora oggi: distaccato dai beni materiali, dal potere, dalla staticità ideologica. Per lui il pensiero è un libero movimento che si articola sulle parole, si inarca sul dorso dei concetti e geometricamente spezza ogni convenzione, ogni luogo comune e frase fatta, per librarsi nell’azzurro di pensieri più nuovi e alti, nel cielo della virtù. 
Un rivoluzionario, un terrorista che usa la logica al posto del tritòlo, ma non per questo è meno pericoloso per i suoi concittadini che dormono sonni tranquilli fra le coltri delle loro certezze. 
Socrate è scomodo, trasforma le piume dei cuscini degli ateniesi in chiodi, nessuno più dorme sereno. Così si decide di eliminarlo. E lui non combatte ma argomenta. Cerca di collaborare con gli ateniesi per trovare quale sia la sua vera colpa e infliggersi la sua giusta punizione. Ma dopo i suoi ragionamenti capisce che in fondo meriterebbe un premio: “vitto e alloggio gratis a vita nel Pritaneo, una specie di albergo a 5 stelle per i grandi campioni olimpici”. 
Che sia stata questa la suprema beffa che ha convinto gli ateniesi a condannarlo a morte? Può darsi. Socrate stesso consiglia di aspettare ancora un po’ perché è già vecchio e la morte lo coglierebbe comunque in breve tempo per via naturale, senza fare di lui un martire.
Lui stesso scelse il veleno, la cicuta. La morte che forse gli pareva meno dolorosa. E ancora oggi noi restiamo ammirati della straordinaria umanità di questo genio del pensiero. E ci chiediamo quanti liberi pensatori siano rimasti oggi. E che fine faremmo fare loro se venissero a tirarci per la giacca quando sonnecchiamo in poltrona, magari con il telecomando che quasi scivola dalla mano. 
L’allestimento di Juri Ferrini, pur rimanendo fedele al testo originale di Platone, ne propone una rilettura particolare presentando un Socrate irridente e caustico, che dietro una maschera di finta ingenuità, nasconde un messaggio dirompente e pericoloso per qualunque struttura sociale. 
Dietro i maldestri e comici tentativi di sperimentare da solo un modo per eseguire la condanna a morte che egli sa già che gli verrà inflitta, e che lo occupano per tutta la durata dello spettacolo ambientato in un luogo metà patibolo metà lager, si nasconde il ritratto di un personaggio quasi più minaccioso e destabilizzante di quello tratteggiato dai suoi accusatori.

Regia Jurij Ferrini
Debutto

con Claudio Carini
tratto da Platone
drammaturgia Claudio Carini
scenografia Maurizio Bercini
luci Luigi Proietti